Monday 27 June 2011

In The Kitchen - Monica Ali

Nella cucina di un ex hotel di lusso nel pieno centro di Londra, lo chef Gabriel "Gabe" Lightfoot cerca di tenere sotto controllo una caotica squadra di cuochi, garzoni e lavapiatti. La sua pazienza è messa a dura prova dalle contrastanti richieste di un vivace staff multinazionale, un management insistente e partner d'affari con cui progetta di nascosto di aprire un suo ristorante. Ma, a dispetto di tutte queste pressioni, il duro lavoro sembra dare i suoi frutti. Finché la scoperta del cadavere di un garzone ucraino nella cantina dell'albergo altera il fragile equilibrio della vita di Gabriel, già gravata da un padre malato di cancro, da una fidanzata che vorrebbe sposarsi e da un padrone che conduce affari illegali sotto i suoi occhi. Entra in scena Lena, un'attraente bielorussa misteriosamente legata alla morte del garzone. Sotto la sua influenza, Gabriel prenderà delle decisioni le cui conseguenze modificheranno il corso della sua vita e il futuro che pensava di desiderare. In the Kitchen è il seguito ideale di Brick Lane: uno sguardo cinico e rivelatore sul quel melting pot che è l'esistenza contemporanea. Un libro che conferma il talento di Monica Ali come acuta osservatrice dei drammi della vita moderna.

Vi è piaciuta la quarta di copertina?
Ecco, dimenticatevela.

Non ho comprato questo libro perché lo stile non mi convinceva, e i miei 17 euro ho preferito spenderli diversamente. D'altronde, per queste cose, esiste la biblioteca.

Vi avviso subito, se siete amanti del ritmo narrativo inesistente questo libro fa per voi.
E' talmente inesistente da far sembrare la storia di  Vish Puri carica di adrenalina come una gara di rafting, e con questo credo di aver detto tutto

Però è un libro che va dissezionato e commentato per bene, perché merita.
Voglio anche sottolineare che questo è un mio personalissimo parere, gran parte delle recensioni ne parlano bene, ma io devo dire quel che penso, non posso tacere. Non dopo 500 pagine!

Inizierò quindi dai miei primi "occhi al cielo" e dai primi sintomi di prurito alle mani.

Non lo nego, la mia reazione davanti alle prime pagine, è stata immediata.
Ho cercato di comunicare mentalmente con l'autrice, con la speranza di poterle far capire che non è sufficiente intervallare nomi di cibo a frasi di senso compiuto per scrivere una storia ambientata nelle cucine di un ristorante; sono quasi certa però di non essere riuscita nell'impresa.

Altro particolare che si nota, soprattutto nella parte iniziale della storia, è la pesante ridondanza. Fa l'effetto di una persona che ti ha appena raccontato una barzelletta e siccome tu non hai riso (perché non ti ha fatto ridere) te la racconta di nuovo, ma in un altro modo, perché è convinta del fatto che tu non abbia riso non per la pochezza della storia, ma perché TU (povero ritardato mentale) semplicemente, non l'hai capita!

Arrivata a pagina 16 mi sono chiesta (e l'ho chiesto mentalmente anche all'autrice): ma qui, di cosa stiamo parlando?
E pensate che a pagina 3 sono dovuta tornare indietro! Questo perché la noia mi aveva talmente annebbiato la vista che non mi ero accorta che già da subito ci era scappato il morto.

Una scrittura interessante, davvero!

Ad un certo punto però devo ammettere che la storia sembra riprendersi, è ovvio a quel punto dare quella seconda chance che non si nega a nessuno, nemmeno ai peggiori.
Questo però fino a che non incappi nelle seghe mentali dello chef (che nulla hanno a che fare con la cucina, che nulla hanno a che fare col suo lavoro, che quasi nulla hanno a che fare col morto ammazzato, e che invece hanno solo a che fare col suo privato, che per la cronaca non è nemmeno così interessante, anzi, ti fa cadere le palle!)

Ok, superi la prima sega mentale senza sapere che è la prima di una lunghissima serie (quasi 500 pagine dedicate solo a a queste) poi ti imbatti nella seconda, sudi freddo, e riesci a superare anche questa.
Alla terza, sei quasi in narcosi e ti accorgi che stai leggendo in diagonale.

Poi leggi una frase e di colpo ti svegli! Si parla degli esperti delle analisi della struttura sanguigna intervenuti sul luogo del delitto, e senti che vuoi chiamare il tuo vecchio professore di medicina legale, così, giusto per farsi due ghignate come ogni tanto accade, ma sono le due del mattino, e forse non è il caso.
Anche se so che lui apprezzerebbe.

Poi vai avanti nella lettura... No! Davvero c'è una trama oltre alle seghe mentali?
Mmmh no, mi sbagliavo, sono proprio le seghe mentali le vere protagoniste della storia.

Arrivata a pagina 130  decido di riportare il libro in biblioteca.
Sono per strada e penso "Non mi importa se mi mancano 300 e passa pagine, ho già letto tutta la parte finale solo per essere sicura di non aver preso un'abbaglio e per poco non mi trovano mummificata sulle pagine!"
Poi ci ripenso e dico che forse, chissà, magari nelle pagine non lette c'era quel qualcosa che fino ad ora mi era sfuggito...
Così decido di dargli una terza chance.

Impressioni generali:

La recensione è, a mio parere, ingannevole, perché sottolinea punti che sono marginali nella storia e descrive come marginali quelli che invece sono i punti cardine della storia: ovvero le paranoie dello chef e tutto il suo contorno familiare.

Il libro in realtà è un compendio di cucito, ma non imparerete a cucire o a distinguere un punto da un altro, e non imparerete nemmeno l'arte del merletto al tombolo (grazie al Cielo, vorrei aggiungere! Immaginate che libro sarebbe venuto fuori!) verrete invece illuminati su tutti quei dettagli del cucito e non dell'arte del cucire di cui non potrebbe fregarvene di meno.
Al massimo potrete imparare ad oliare un macchinario, ma nemmeno troppo, non si spinge a sufficienza nella meccanica, perchè a quel punto io avrei anche potuto trovarlo davvero interessante.

La storia è strana perché ha alcuni punti che se sviluppati diversamente avrebbero potuto, secondo me, dare spunto ad una trama sicuramente più avvincente. Soprattutto con qualche centinaia di pagine in meno.

I personaggi sono un altro punto debole. Non sono simpatici, non hanno carisma, e soprattutto non hanno carattere. In particolare i protagonisti, che a me personalmente lasciano del tutto indifferente.
Per dirla in breve: non sono vivi.

Coi dialoghi poi non ci siamo proprio. Non solo non sono coinvolgenti, e non sono credibili nemmeno nei momenti drammatici, ma ci sono dei momenti in cui questa scrittura sembra più un esercizio di stile, un tema di terza media, che una storia vera e propria.

Lo stile poi non mi piace per niente. 
Con questo non dico che non possa piacere, ma non è il tipo di scrittura che può piacere a me.
La storia è piagnucolosa e anche vagamente senza palle, anche se paradossalmente vuol farci credere esattamente l'opposto.
Più di una volta mi sono ritrovata ad avere la sensazione di leggere frasi,  interi dialoghi, o situazioni, messi lì tanto per far numero.
Trovo che in generale la sua sia una scrittura un po' schizofrenica, talvolta fin troppo quieta, senza cuore pulsante, e talvolta forzatamente azzardata e per niente spontanea.

Insomma, è un "Vorrei essere Bourdain"  ma proprio non può non può non può.

Peccato, perché la copertina era carina... aspettate però, dov'è che ho già visto qualcosa di vagamente simile?
Uhhhmmm proprio non riesco a ricordare...




Ora però, per completa onestà, andiamo a vedere che differenza c'è fra la quarta di copertina e le quasi cinquecento pagine di paura che trovi all'interno.

Commentiamo passo per passo:

Nella cucina di un ex hotel di lusso nel pieno centro di Londra, lo chef Gabriel "Gabe" Lightfoot cerca di tenere sotto controllo una caotica squadra di cuochi, garzoni e lavapiatti.

E' vero, alcune scene sono ambientate in cucina.
E la squadra di cuochi, garzoni e lavapiatti di questo libro sembra uscita da "Kiss me Licia", se confrontata con quella di Bourdain descritta in Kitchen Confidential.

La sua pazienza è messa a dura prova dalle contrastanti richieste di un vivace staff multinazionale, un management insistente e partner d'affari con cui progetta di nascosto di aprire un suo ristorante.

Vero.
Ma la nostra pazienza viene messa a dura prova dagli innumerevoli, noiosissimi ed inutili, flashback della sua pallosissima vita.

Ma, a dispetto di tutte queste pressioni, il duro lavoro sembra dare i suoi frutti.

Ah sì??? E quando sarebbe successo, di grazia?

Finché la scoperta del cadavere di un garzone ucraino nella cantina dell'albergo altera il fragile equilibrio della vita di Gabriel...

Appunto quando è che succede 'sto tizio vede i frutti della frase precedente, visto che il cadavere appare immediatamente nelle prime 3 pagine?

... già gravata da un padre malato di cancro, da una fidanzata che vorrebbe sposarsi e da un padrone che conduce affari illegali sotto i suoi occhi.

Non fatevi ingannare da queste cose.

Entra in scena Lena, un'attraente bielorussa misteriosamente legata alla morte del garzone.

Attraente? Ma se non piace nemmeno al protagonista!
Viene descritta come un cadavere che cammina...

Sotto la sua influenza, Gabriel prenderà delle decisioni le cui conseguenze modificheranno il corso della sua vita e il futuro che pensava di desiderare.

No, sotto l'influenza delle sue personalissime seghe mentali.
E pure sotto l'influenza del nulla, visto che quel che fa non poggia nemmeno su basi psicologiche sensate.


In the Kitchen è il seguito ideale di Brick Lane: uno sguardo cinico e rivelatore sul quel melting pot che è l'esistenza contemporanea.

Certamente.

(e poi un giorno vi parlerò anche di Brick Lane, sempre che io riesca a finirlo!)


Un libro che conferma il talento di Monica Ali come acuta osservatrice dei drammi della vita moderna.

Seeeeeee. Come no!!!

Compratelo solo se volete fare del male a qualcuno. 

16 comments:

  1. "Nomen omen "....Mettiamoci le Ali e ....via!Portiamoci anche ,come aiuto supplementare, una Red Bull e scappiamo a gambe levate!!!Se mi si dovesse azzoppare qualche tavolo forse lo spessore di questo libro potrebbe essere di aiuto, ma solo per questo però!Buona settimana, un abbraccio....

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  2. Allora è perfetto per la suocera...scherzo!!!...o forse no.....

    Bacioni :)

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  3. Se tutto il libro è scritto avendo come oggetto "le seghe mentali"...allora è perfetto per la vendita di molte copie...ti ricordo che siamo in un paese dove sono in tanti che attraverso uno stato mentale alterato...da "seghe mentali" appunto pensa di essere rispettivamente un grande cuoco, un grande scrittore, un grande politico...:P ahahahahahahahaha
    PS
    Sei un mito...ed io proprio in tuo onore sto pensando di tingermi i capelli...qualche suggerimento per il colore?! :P ahahahahhahaha

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  4. In definitiva...un altro albero abbattuto inutilmente!!!! :-)))

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  5. ecco, mai fidarsi della quarta di copertina!

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  6. Ho una collega che si esprime esattamente nello stesso modo di questa autrice: seghe mentali a non finire, lei protagonista di tutto sempre sotto i riflettori e i malcapitati che la incrociano in ginocchio davanti a lei (in realtà sono tutti in perenne fuga da lei).
    Secondo me questo libro l'ha scritto lei e Monica Ali è il suo nickname. Se non l'ha scritto l'ha sicuramente recensito, visto che le è piaciuto da matti quella boiata della scuola degli ingredienti segreti. :-)))

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  7. Did anyone notice that if you spell Monica Ali backwards, you get "Bad Writer"? Not a coincidence, if you want my opinion.

    Anyway, I feel the urge to buy this book after reading your review. You never know what table or what furniture I might need to steady.
    Screw the Yellow Pages! They have too much action for me. I want "In the kitchen" :D

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  8. Mmmm quasi quasi corro a comprarlo... :P
    meglio limitarsi ai film brutti, i libri brutti non li reggo proprio!

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  9. Ma come? Non ti sei resa conto che è la seconda parte dell'Osteria Sciacqualattuga?

    Certo, al posto del gufo meccanico qui c'è uno pseudochef che si fa influenzare da una con il vero nome di Acquaviva...ma mi sembra una differenza da niente!

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  10. la prossima quarta che scrivo, terrò presente!^^

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  11. Ce ne hai di coraggio a sciropparti un libro palloso per 500 pagine! Comunque grazie per la preziosa recensione, almeno mi fa evitare attimi di noia.

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  12. noooooooooooooo l'ho appena comprato! sigh

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  13. ahahha grandissima!!!
    ci è stato regalato, ma non avevamo il coraggio di esporci così tanto nei commenti..
    mudùù per non parlare del fatto che alcune situazioni sono proprio surreali, giusto i telefilm italiani potrebbero accettarle...

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  14. Ottima recensione. Concordo su tutta la linea. Sono stata irretita dalla copertina (in biblioteca, per fortuna!) e sto arrancando faticosamente verso la pagina 510.
    500 pagine di nulla (perché mi sto torturando?) e vissuti di cucine o amore per il cibo neanche l'ombra. Ma la Ali c'è mai stata in una cucina professionale?
    Francy

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  15. @ Francy: la copertina ha ingannato anche me, mannaggia! Comunque può diventare sempre un utile fermaporta, o anche un ottimo falo'! :-P

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Bischopswijn (e dei Natali in anticipo)